venerdì 16 maggio 2025

Il nuovo Leone riuscirà a scacciare i lupi?



Immagine generata con l’intelligenza artificiale (ChatGPT – DALL·E),
 modificata con Canva Pro




di José Antonio Ureta

In poco più di due settimane, la Chiesa, che sembrava immersa nelle convulsioni dell’agonia, ha mostrato un’insospettata vitalità, rivelando la sua origine divina e l’assistenza permanente dello Spirito Santo.

I media liberal si erano compiaciuti nel sottolineare che, nonostante il pontificato populista e modernizzante del defunto Papa Francesco, l’emorragia della pratica religiosa nella Chiesa cattolica non si era arrestata, né si era fermata la chiusura delle chiese dovuta al continuo calo delle ordinazioni sacerdotali, alla corrispondente diminuzione delle entrate per mantenere le sue attività liturgiche e caritative, e, ancor peggio, alle lotte intestine provocate dall’“apertura” del pontefice argentino. Questi analisti prevedevano che presto la grande istituzione che aveva plasmato la cultura e la civiltà occidentale e influenzato il mondo intero con il suo pensiero sarebbe caduta nell’insignificanza…

E invece no! La convergenza di oltre cento Capi di Stato per i funerali di Francesco e la presenza a Roma di oltre 1.500 giornalisti per coprire le congregazioni generali del collegio dei cardinali, il conclave e l’elezione del nuovo papa, hanno attirato l’attenzione di milioni di cattolici e non cattolici nei cinque continenti. Ai loro occhi, l’istituzione millenaria fondata da Gesù Cristo è apparsa nello splendore dei suoi giorni migliori. E ne sono rimasti affascinati.

Lo scrittore boliviano José Andrés Rojo lo ha espresso bene sulle pagine del quotidiano spagnolo di sinistra El País:

“Qualsiasi laico che si avvicina a questo processo resta abbagliato dai protocolli che lo regolano. L’attenta gestione del tempo, la disposizione accurata delle figure, degli spazi e dei colori, le vesti dei protagonisti, le informazioni rilasciate con il contagocce, lo spettacolo... I leader del nuovo ordine si sono precipitati in Vaticano per imparare dalla Chiesa cattolica. Non che siano interessati alle sue omelie o speculazioni teologiche, né ai suoi comandamenti; ciò che vogliono capire è come operano i suoi splendidi cerimoniali. E così imparare a conquistare gli affetti del gregge e suscitare emozioni per condurlo verso quella nuova età dell’oro che promettono con tanto fervore.”

Per ventiquattro ore, infatti, gli occhi del mondo intero si sono concentrati sul gabbiano che si posava con orgoglio accanto alla piccola canna fumaria installata dai dipendenti vaticani, dalla quale sarebbe uscita la fumata — nera o bianca — a indicare l’esito dei misteriosi scrutini della più aristocratica elezione del mondo odierno democratico.

132 elettori, per lo più scelti dal defunto sovrano secondo criteri piuttosto eccentrici, hanno partecipato al conclave, senza neanche aver avuto modo di conoscersi intimamente nei concistori periodici, come si faceva un tempo. La difficoltà aggiuntiva della loro provenienza da 77 paesi, con culture e interessi pastorali molto diversi, faceva presagire un processo lungo per eleggere qualcuno in grado di ottenere il consenso di almeno i due terzi di questo eterogeneo corpo elettorale: un’eterogeneità aggravata dalla divergenza teologica tra i prelati progressisti, desiderosi di proseguire l’avventuroso “cambio di paradigma” intrapreso da Papa Francesco, e coloro che vedevano la sua apertura allo Zeitgeist come un tradimento del messaggio evangelico, al punto che non pochi osservatori avevano ipotizzato uno scisma.

Ancora una volta, tutte le aspettative sono state disattese. In appena quattro scrutini è stato eletto il 267° successore di San Pietro. L’arcivescovo di Algeri, un prelato ultra-progressista, ha dichiarato che, dopo un momento iniziale di “espressione delle differenze” nei voti, “si è presto raggiunta un’enorme unanimità”. A suo dire, il voto “avrebbe potuto concludersi prima”, lasciando intendere che già al terzo scrutinio il cardinale Robert Vincent Prevost aveva quasi raggiunto la maggioranza qualificata necessaria. Una scelta che ha contraddetto sia i pronostici dei bookmaker sia i desideri segreti di quanti auspicavano un successore che proseguisse l’avventura bergogliana e de-occidentalizzasse ulteriormente la Chiesa cattolica verso le periferie del Sud globale.

Ispirato dalla prudenza, che richiedeva una figura capace di unire una Chiesa profondamente divisa dalla linea pastorale e dallo stile autoritario di Francesco, affinché potesse tornare a guidare i fedeli e illuminare le coscienze nel caos geopolitico attuale — e, si spera, anche ispirato dallo Spirito Santo — il collegio dei cardinali ha scelto una persona sconosciuta al grande pubblico, ma che incarnava i tratti che il cardinale Timothy Dolan auspicava, parlando ai microfoni della NBC prima di salire sull’aereo a New York:

“Mi piacerebbe vedere qualcuno con il vigore, la convinzione e la forza di Giovanni Paolo II. Mi piacerebbe vedere qualcuno con l’intelligenza di Papa Benedetto. Mi piacerebbe vedere qualcuno con il cuore di Papa Francesco... qualcuno con lo stesso stile di Francesco, quel calore, quel cuore, quel sorriso, quella bontà, quell’abbraccio, magari con un po’ della chiarezza nell’insegnamento di Giovanni Paolo e Benedetto, più raffinatezza nella tradizione della Chiesa, e più approfondimento nei tesori del passato per ricordarci cosa Gesù si aspetta da noi oggi.”

Il recupero delle tradizioni della Chiesa è stato ben rappresentato fin dalla prima apparizione di Leone XIV sul balcone, che nulla ha lasciato a desiderare per i cuori innamorati degli splendori della pompa papale: mozzetta e stola ricamata, croce pettorale e processionale in oro, nessuna improvvisazione personalistica, ma un discorso scritto, pronunciato con tono sobrio e con una marcata nota religiosa, centrato sulla predicazione di Cristo risorto e sull’affidamento filiale del suo ministero petrino alla Madonna. Una devozione mariana confermata il giorno seguente dalla sua visita inaspettata al santuario della Madonna del Buon Consiglio a Genazzano, l’affresco ispiratore, dai tratti orientali, trasportato dagli angeli dall’Albania alle porte di Roma, cuore della devozione mariana dell’Ordine agostiniano, al quale il nuovo Papa apparteneva.

Il primo sermone di Leone XIV ai cardinali, nella Cappella Sistina, è stato anch’esso un richiamo a ciò che Gesù si aspetta da noi oggi. Commentando il contesto dell’episodio evangelico della confessione di San Pietro, il suo successore ha sottolineato che è avvenuto in un contesto simile al nostro, cioè “un mondo che considera Gesù una persona totalmente priva d’importanza, al massimo un personaggio curioso” e che “non esiterà a respingerlo e a eliminarlo” quando la sua presenza diventa scomoda; oppure un mondo che lo considera uno che dice cose giuste come altri grandi profeti e lo segue “almeno finché possono farlo senza troppi rischi e inconvenienti”, ma che “lo considerano solo un uomo, e perciò, nel momento del pericolo, durante la Passione, anch’essi lo abbandonano e se ne vanno, delusi”. Secondo il nuovo Papa, questi due atteggiamenti sono molto attuali: “incarnano infatti idee che potremmo ritrovare facilmente – magari espresse con un linguaggio diverso, ma identiche nella sostanza – sulla bocca di molti uomini e donne del nostro tempo”. Anche tra i battezzati, non mancano coloro che riducono Gesù “a una specie di leader carismatico o di superuomo” e che finiscono per “col vivere, a questo livello, in un ateismo di fatto”.

Questa visione dello stato dell’umanità è l’antitesi dell’ottimismo beato che ha presieduto alla convocazione, alle discussioni e alle scelte pastorali del Concilio Vaticano II, basate sull’idea che l’umanità si stesse muovendo verso i valori del Vangelo, e che quindi gli anatemi non fossero più necessari e bastasse una presentazione positiva di quei valori. L’immagine della Chiesa militante doveva essere sostituita da quella della Chiesa pellegrina, in cammino mano nella mano col mondo verso un Regno escatologico dalla collocazione incerta — in questo mondo o nell’altro.

Nulla di tutto ciò si ritrova nella visione del nuovo Papa. Di fronte a un’umanità che disprezza, ignora o svaluta Cristo, egli ci chiama a “testimoniare la fede gioiosa in Cristo Salvatore” e a ripetere con San Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!”. Un compito che il suo successore riconosce di aver ricevuto come un tesoro, affinché “col suo aiuto, ne sia fedele amministratore”, in modo che la Chiesa “sia sempre più città posta sul monte, arca di salvezza che naviga attraverso i flutti della storia, faro che illumina le notti del mondo”. Siamo ben lontani dalla Dichiarazione di Abu Dhabi e dalle scandalose affermazioni di Singapore secondo cui tutte le religioni sarebbero vie verso Dio…

È ancora presto per sapere fin dove il nuovo Papa porterà questo programma missionario, ma una cosa sembra chiara: la sua elezione rappresenta un ritorno all’ordine. Speriamo che ciò non si limiti solo all’aspetto esteriore — giacché, come diceva Victor Hugo, “la forma è la sostanza che affiora” — ma anche sul piano dottrinale e disciplinare, affinché l’immensa confusione seminata dal pontificato precedente, con le sue dichiarazioni azzardate e i documenti controversi come Amoris Laetitia e Fiducia Supplicans, possa essere dissipata, e cessino le persecuzioni verso chierici, intellettuali e fedeli emarginati e sanzionati per la loro fedeltà all’insegnamento morale della Chiesa o al suo rito liturgico immemorabile.

Spiegando la scelta del nome Leone, il nuovo pontefice ha dichiarato che una ragione era in memoria di Leone XIII, che gettò le basi della dottrina sociale della Chiesa in risposta alle sfide della Rivoluzione Industriale, così come oggi essa affronta le sfide della nuova rivoluzione digitale. Un’altra spiegazione potrebbe essere il suo affetto per Leone XIII, che nacque nei pressi di Genazzano, fu educato dagli Agostiniani e fu colui che inserì l’invocazione Mater Boni Consilii nelle Litanie Lauretane.

Secondo Le Figaro, il cardinale serbo Ladislav Nemet ha condiviso una battuta che circolava tra i cardinali e offriva un’altra spiegazione per la scelta del nome Leone (“Leo” in latino): “Finora abbiamo avuto Francesco, che parlava con i lupi. Ora abbiamo un leone che scaccerà i lupi.”

Speriamo che lo faccia davvero, dissipando una volta per tutte il “fumo di Satana” entrato nella Chiesa ai tempi di Paolo VI, e ponendo fine al “misterioso processo di autodistruzione” che ha condotto alla crisi attuale. Possa Leone XIV andare oltre le intenzioni dei cardinali elettori (che forse lo hanno scelto come figura di consenso) e riportare davvero la pace nella Chiesa.

Speriamo sia la vera pace di Sant’Agostino — cioè “la tranquillità dell’ordine”, che presuppone l’eliminazione più radicale possibile dei fattori di disordine dottrinale e disciplinare dilaganti in ogni ambiente cattolico, e in particolare in Europa. Con questa speranza, uniamoci alle voci delle migliaia di fedeli che, ai piedi della loggia di San Pietro, hanno acclamato Leone XIV con un fragoroso: “Viva il Papa!”.



Fonte: Voice of the family, 14 maggio 2025. Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia.





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