sabato 13 dicembre 2025

La regalità sociale è conquista della Passione e Morte di Cristo




Pubblichiamo un breve estratto dell’articolo di Padre Serafino Lanzetta dal titolo “La Regalità di Cristo e la libertà religiosa: due antipodi?”, tratto dal libro da poco pubblicato dal nostro Osservatorio: Pio XI, Quas primas. Sulla Regalità sociale di Nostro Signore Gesù Cristo. Vedi la scheda-libro QUI; fai la tua donazione QUI; ordina il libro scrivendo a: acquisti.ossvanthuan@gmail.com

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Di P. Serafino M. Lanzetta, 12 dic 2025

Quando i cattolici rifiutano la regalità sociale di Cristo e accettano la libertà religiosa senza distinzioni, come pura libertà, non dicono anch’essi: «Non abbiamo altro re che Cesare?» (Gv 19,15). E quando dicono che tutte le religioni hanno pari dignità nella sfera sociale, non dicono forse: «Diamo a Cesare ciò che è di Dio?». Si subordina Dio a Cesare, con buona pace del Santo Vangelo. Invece, dando a Cristo ciò che è suo: l’onore, l’adorazione e la gloria, si dà a Cesare ciò che è veramente suo, senza togliere a Cristo ciò che non è di Cesare. Solo nel riconoscimento del potere regale di Cristo è implicato il riconoscimento gerarchico di Cesare e di tutti gli attori sociali, senza discriminazioni o disparità. Ciò che Cristo porta al mondo è il potere della verità e dell’amore: l’atto del regnare di Dio. Si tratta di un atto trascendente che non appartiene a questa creazione, ma è la principalità del Creatore su tutto ciò che esiste[1]. È proprio questo che Gesù aveva detto a Pilato, quando, incalzato dal Procuratore romano preso da due fuochi: rilasciare l’innocente Gesù o compiacere i giudei per evitare una sommossa, rispose: «Il mio regno non è di questo mondo» (Gv 18,36). Il regno di Gesù non appartiene a questa creazione quanto alla sua origine; è l’atto del regnare di Dio sulle cose e sugli uomini che dà autorità alle autorità terrene, finanche il potere a Pilato di giudicare suo Figlio (cf. Gv 19,11).

Gesù professa apertamente la sua regalità davanti al Procuratore romano che gli chiede se è re: «Tu lo dici; io sono re. Per questo sono nato e per questo sono venuto al mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce» (Gv 18,37). Il Signore è nato ed è venuto in questo mondo per essere re. La sua regalità trascendente non è evanescente: è una potestas esercitata quaggiù perché gli uomini abbiano accesso al mondo di lassù. Il potere regale di Gesù è il potere della verità. Esso abbraccia tutto ciò che è vero e buono, tutto ciò che è. È il potere di Dio che regna e il suo regno è amore. La verità di tutto ciò che è e di ciò che Dio è si compie nell’amore. Dio è amore e nel suo amore regna donando ragion d’essere alle cose e all’uomo. Fuori di questo potere regale dell’amore non c’è regalità. Ogni potere terreno dovrà conformarsi a questo potere della verità e dell’amore per essere vero, autentico e quindi propriamente umano. Questo potere regale dell’amore è il fulcro della vera religione.

A Pilato, tuttavia, non interessava la verità e neppure la giustizia. Una manovra politica ebbe la meglio. Fece condannare Gesù pur riconoscendolo innocente. Quella sentenza si eresse a modello di ogni umana macchinazione e ingiustizia. Era necessario liberare quel potere senza Dio e senza la verità dal sopruso del relativismo. Gesù fu consegnato alla Croce. Pensavano così di liberarsi di un intruso nel sistema sociale della politica e della religione, dove ognuna segue il suo corso in un facile contratto di sottomissione arbitraria della religione alla politica. Ma è proprio sulla Croce che Gesù manifesta il suo potere regale. Aveva infatti predetto di dover essere innalzato da terra, esaltato, così da attirare tutto a sé (cf. Gv 12,32), rinnovando tutta la creazione nell’effusione del suo Sangue. Di più, quell’innalzamento tra cielo e terra sarà rivelazione della sua divinità: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono» (Gv 8,28).

Sulla Croce fu posta l’iscrizione in tre lingue, latino, greco ed ebraico, che spiegava il motivo della condanna. Tutto il mondo doveva capire. Tutti dovevano guardare al vero Re esaltato sul suo Trono d’amore e di dolore. È la Croce di Gesù che libera la vera regalità dal sopruso della menzogna e dell’invidia. È ancora e sempre la Croce che ci libera dalle false concezioni della religione e da un facile irenismo dove ciò che conta di più è la stabilità sociale o la dignità dell’uomo, dimenticando Dio. Lo si consegna alla Croce, ma è dall’alto di essa che il Signore ci dice: Io Sono. È solo nella Croce, allora, che possiamo riconciliare il dato dottrinale-morale della libertà religiosa con il suo aspetto sociale e con l’assenza della coercizione. Lo si proverà a fare per l’unità della Chiesa e il bene delle anime?




(Foto: Duccio di Buoninsegna)


[1] Per un’indagine sistematica sulla regalità sociale di Cristo, vedi S.M. Lanzetta, «Oportet enim Illum regnare» (1Cor 15,25). La regalità sociale di Cristo, in «Fides Catholica» 1 (2020) 111-134.





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