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mercoledì 10 settembre 2025

Un nuovo episodio doloroso: la scelta di don Pompei




di Roberto de Mattei, 10 Settembre 2025 


Dopo i “casi” dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò, di don Alessandro Minutella e di padre Giorgio Faré, giunge ora, in Italia, quello, non meno grave e doloroso, di don Leonardo Pompei, un sacerdote che si è fatto fino ad ora apprezzare per la sua ortodossia e condotta morale.

Il 29 agosto, don Pompei, parroco di S. Maria Assunta in Cielo in Sermoneta, in una lettera scritta al vescovo di Latina mons. Mariano Crociata, suo superiore ecclesiastico, ha annunciato di non sentirsi più in comunione né con il vescovo diocesano né con la gerarchia ecclesiastica.

Nella mattinata del 4 settembre, mons. Crociata ha notificato al sacerdote un decreto che prevede la sua sospensione «da tutti gli atti della potestà di ordine, da tutti gli atti della potestà di governo e dall’esercizio di tutti i diritti o funzioni inerenti all’ufficio. Qualunque atto di governo dovesse essere posto dal presbitero in parola è da ritenersi invalido. Al Rev. don Leonardo Pompei è concessa la dispensa dall’obbligo di portare l’abito ecclesiastico ed è chiesto di non presentarsi pubblicamente come sacerdote».

A questa decisione, secondo il comunicato della diocesi, si è arrivati per la violazione del precetto penale imposto il 2 settembre da mons. Crociata a don Pompei, «che imponeva e ordinava al presbitero, sotto pena di sospensione, di non convocare alcun incontro o assemblea parrocchiali con i fedeli della parrocchia di S. Maria Assunta in Cielo in Sermoneta, e di sospendere qualunque tipo di attività sui social media». Invece, il 3 settembre sera, «don Pompei ha violato il precetto penale a suo carico – si legge nella nota della diocesi di Latina –, convocando un incontro online aperto a chiunque fosse in grado di connettersi da remoto e trasmesso in diretta sulla piattaforma social YouTube. Con tale comportamento, il rev. don Leonardo Pompei ‘è venuto meno in forma positiva e pubblica all’obbligo di obbedienza al suo ordinario, per cui il passo successivo è stato quello della sospensione dal ministero presbiterale’”.

Don Pompei non ha contestato questa ricostruzione dei fatti, né ha impugnato la legittimità canonica del decreto. Il 4 settembre in un video su You tube, nel quale ha dettagliatamente illustrato la sua «sofferta ma inevitabile scelta» e in un successivo video di “precisazioni” del giorno successivo, si è autodefinito, con tranquillità d’animo, “scismatico”. È questo un primo punto che è importante sottolineare. Non si gioca con le parole. Don Pompei si è proclamato scismatico, perché sa di esserlo, a norma del diritto canonico, che è l’ordine giuridico della Chiesa. Gesù Cristo, infatti, non ha annunciato un messaggio solo spirituale, ma ha istituito una società gerarchica, affidando agli Apostoli, con Pietro come capo (cf. Mt 16, 18-19; Gv 21, 15-17), l’autorità di insegnare, governare e santificare i fedeli.

Per i Padri della Chiesa, lo scisma è uno dei peccati più gravi, spesso considerato pari o peggiore dell’eresia, perché nega l’autorità della Chiesa e lacera l’unità del Corpo di Cristo. Il giudizio di sant’Agostino è lapidario: «Nihil gravius est quam scisma» (Enarrationes in Psalmos, 30, 2,7); lo scisma è più grave dello stesso errore dottrinale, perché chi è nello scisma perde l’amore fraterno e quindi la salvezza, anche se custodisce la retta fede (De Baptismo, 1,1). Se gli eretici hanno una dottrina perversa, gli scismatici si separano dalla carità fraterna; «perciò, pur credendo su Dio quello che crediamo anche noi, non avendo la carità dicono invano di essere cristiani» (Contra Faustum, 20,3)

Don Pompei afferma di trovarsi nell’impossibilità di esercitare il suo ministero nella Chiesa attuale e di aver deciso di abbandonarla, per scegliere la «Chiesa di sempre», dopo aver conosciuto, quest’anno, il «mondo della tradizione». Ma alcune domande sorgono spontanee.

Don Pompei, nato nel 1971, è stato ordinato sacerdote nel 2004. Ha conosciuto solo ora, nel 2025, l’esistenza di un “mondo della Tradizione”, che esiste da oltre cinquant’anni? Il prof. Plinio Corrêa de Oliveira,il 15 gennaio 1976, in una conferenza di apertura della XXVI Settimana di Formazione Anticomunista, qualche mese prima dell’esplosione mediatica del cosiddetto “caso Lefebvre”, descriveva già con chiarezza l’esistenza di due grandi correnti all’interno della Chiesa Cattolica: la progressista e la tradizionalista. «Le concezioni di queste correnti sono diametralmente opposte, in completo contrasto. Non è possibile che entrambe abbiano ragione, perché due posizioni contrarie non possono essere simultaneamente vere. (…) La grande battaglia contemporanea non è soltanto – e, aggiungo, non è principalmente – quella dei cattolici contro i comunisti o contro i non cattolici. Il grande centro della battaglia contemporanea — la battaglia immensa tra verità ed errore, tra bene e male, che si svolge ovunque — è nel cuore stesso della Santa Chiesa Cattolica, Apostolica e Romana: lo scontro tra tradizionalisti e progressisti» (https://www.corrispondenzaromana.it/notizie-dalla-rete/la-grande-divisione-nella-chiesa-cattolica-tradizionalisti-e-progressisti-chi-avra-la-vittoria/).

Il prof. de Oliveira fu, fino alla sua morte, nel 1995, un campione della causa tradizionalista e contro-rivoluzionaria, ma non uscì mai dalla Chiesa, né subì sanzioni da parte di essa. Lo stesso mons. Lefebvre, che fu scomunicato nel 1988 per la consacrazione di quattro vescovi, giudicò la sanzione “nulla e senza valore”, perché il Codice di Diritto Canonico prevede l’assenza di pena per chi agisce in stato di necessità (can. 1323 e 1324), ma non mise mai in dubbio la legittimità dell’autorità ecclesiastica che l’aveva emanata e che, nel 2009 rimosse la scomunica.

Don Pompei definisce inaccettabile la Nuova Messa e il Concilio Vaticano II, che però ha accettato per 20 anni. Perché li ha accettati? Per obbedire, sia pure con grande sofferenza all’autorità della Chiesa, ha spiegato nei suoi video. E oggi, per rifiutare ciò che ieri ha accettato, mette in discussione l’autorità della Chiesa. L’errore di don Pompei, comune a molti di coloro che slittano verso il sedevacantismo, è una malintesa idea dell’autorità della Chiesa. In un primo tempo si accetta dall’autorità ecclesiastica anche ciò a cui sarebbe lecito resistere; poi, partendo dal presupposto che l’autorità ha sempre ragione, si rifiuta, non solo l’ordine che appare ingiusto, ma l’autorità stessa che lo emana. In realtà, un’autorità può comminare sanzioni ingiuste nei confronti di un sacerdote (sospensione a divinis, scomunica, riduzione allo stato laicale), ma l’ordine ingiusto non fa decadere l’autorità della Chiesa. I vescovi non sono infallibili nel governo della Chiesa, ma l’esistenza di una chiesa gerarchica è verità proclamata come infallibile dal Concilio Vaticano I nel 1870 (DS 3064) e ribadita nel 1943 da Pio XII nella Mystici corporis (DS 3808; 3827).

All’autorità si può resistere, talvolta anche pubblicamente, come avvenne con la Correctio filialis a papa Francesco del 2017, ma non disubbidire su punti che non toccano direttamente la fede e la morale cattolica. Ad esempio, un sacerdote può rifiutare di distribuire la comunione in mano, ritenendolo un atto irriverente verso Dio, ma non può rifiutare l’ordine del vescovo di sospendere l’attività di un blog, poiché quest’atto non viola, in sé, alcun principio religioso o morale. Il vescovo ha come mandato divino di curare il bene comune del suo gregge, e può sbagliare nell’esercitare questo diritto, ma il sacerdote ha il dovere di ubbidire alle disposizioni del vescovo presso cui è incardinato, salvo il caso di un ordine che violi una legge naturale e divina.

Don Pompei afferma di rifiutare la comunione gerarchica con la Chiesa cattolica, quale ora si presenta, per aderire a una chiesa che definisce “alternativa”. Ma dove approderà? Esiste una “chiesa di sempre” alternativa alla Chiesa cattolica apostolica romana, che ha oggi in Leone XIV il legittimo successore di Pietro?




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